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L’ALIENAZIONE

PARTE TERZA

ALIENAZIONE E NAZIONALISMO

L’alienazione in generale

Riassumendo il precedente discorso sull’alienazione vale per essa la definizione di particolare rapporto degli uomini fra di loro e con le cose. Questo si costituisce all’interno della società come rapporto di dominio fra gli individui, che in quanto dominio di una parte della società sull’altra, determina all’esterno della società un rapporto degli uomini con le cose in cui invece di essere gli individui ad usare le cose queste sono sottratte al controllo umano e sono esse a condizionare gli uomini, quindi a dominarli. Se le cose cioè svolgono un ruolo attivo e gli individui sono invece passivi di fronte ad esse, si può affermare che le cose si personificano e gli individui si reificano. Ma si tratta di una apparenza, poiché ciò accade in quanto la classe dominante si impadronisce del mondo esterno, quindi si appropria delle risorse che assicurano la sopravvivenza della società e le usa a proprio esclusivo vantaggio. Ciò significa che attraverso queste, usate come strumenti di ricatto, - siano esse oggetti naturali o prodotti del lavoro umano, - una classe può instaurare il proprio dominio sulla società. Questo dominio assume sempre principalmente la forma di un rapporto di sfruttamento, cioè di un rapporto nel quale le classi subordinate sono obbligate a produrre non solo per sé ma anche per i proprietari delle risorse e a consegnare parte del loro prodotto alla classe dominante. Perciò le cose che formano il mondo esterno, già trasformato da mondo naturale e ostile in mezzo di sopravvivenza artificiale ma utile, sono al contempo sia mezzi di sopravvivenza, sia mezzi di oppressione e di comando appartenenti alla classe dominante, per cui la natura umanizzata che questi costituiscono appare altrettanto ostile quanto la natura originaria. Pertanto nel rapporto con i loro produttori le cose del mondo umano sembrano animate da uno spirito perverso e quindi sembrano assumere le sembianze di una personalità, quella della classe proprietaria. Infine nella misura in cui il suo dominio si accresce la classe dominante si fa sostenitrice di una visione del mondo, di solito codificata in un sistema di pensiero, nella quale il rapporto di sfruttamento viene non solo giustificato ma posto come diritto e privilegio delle classi superiori e come dovere per gli sfruttati. Si tratta sempre di un discorso apologetico dei rapporti di potere esistenti, volto a ottenere il consenso delle classi subordinate al mantenimento della società nella forma presente. E’ questa l’ideologia, prodotto intellettuale della classe dominante, nella quale essa esprime il suo pensiero. Nella misura in cui tale rapporto di subordinazione all’interno della società viene accettato o in virtù dell’ideologia assimilata come componente fondamentale della cultura della società, o per il fatto che la classe dominante dispone del monopolio della forza materiale, o più spesso per mezzo di entrambe, il rapporto della società con il mondo naturale, benché umanizzato, regredisce al livello dell’alienazione originaria, quando il rapporto con la natura era un rapporto immediato di dominio delle cose sugli uomini. Ciò si verifica perchè ora l’alienazione viene ricreata all’interno della società, dove le cose non sono più un prodotto naturale ma sociale e possono essere materiali o immateriali, per cui essa si presenta come alienazione sociale, che qui media l’alienazione naturale.

La dinamica dell’alienazione sopra descritta è propriamente quella dell’alienazione sociale, che si riferisce ad una intera epoca, quella della società di classe, situazione nella quale l’alienazione è il risultato di una dialettica tra rapporti sociali, quindi rapporti esistenti all’interno di un gruppo sociale fra i suoi membri, e rapporto tra la società e il mondo esterno. Tuttavia occorre presupporre l’esistenza di una alienazione naturale anteriore a quella sociale, avente origine diversa, in quanto propria dell’uomo originario, cioè immerso nella natura e privo di ogni strumento di sopravvivenza derivante dalla produzione di una natura modificata dagli uomini. Questo è in prima approssimazione lo schema di sviluppo dell’alienazione.

L’alienazione naturale è oggettiva perché determinata da un fattore oggettivo, l’insufficiente grado di sviluppo delle forze produttive. Mentre l’alienazione sociale è determinata non da un basso livello di sviluppo delle forze produttive, sviluppo che ben presto raggiunge un livello che di per sé sarebbe ampiamente sufficiente a eliminare l’alienazione, ma dall’insufficiente sviluppo dei rapporti sociali, poiché questi, soprattutto i rapporti di produzione, che determinano tutti gli altri, tendono a svilupparsi con un certo ritardo rispetto quello delle forze produttive. Per cui stentano ad adeguarsi alle forze produttive esistenti in quanto tendono ad abbandonare lo spirito solidaristico che caratterizzava le comunità primitive. Così, da un certo momento in poi, che può essere identificato con la nascita dell’economia di scambio, lo sviluppo dei rapporti di produzione tende a determinare non un rapporto di cooperazione, come sarebbe necessario con i complessi mezzi di produzione moderni, ma sistemi produttivi fondati sulle potenzialità del singolo individuo in concorrenza con altri individui che producono nelle stesse condizioni, sebbene il grado di socializzazione dei mezzi di produzione obblighi le società ad adottare sempre più soluzioni di compromesso. Ma il clima predominante è sempre quello della conflittualità che genera nei produttori un rapporto alienato con i mezzi di produzione in quanto sono percepiti come elementi di un ambiente ostile, rapporto che porta alla loro personificazione e alla corrispondente reificazione dei soggetti.

Premessa metodologica

Quindi le due prime categorie dell’alienazione sono l’alienazione naturale e l’alienazione sociale. Il capitalismo è il punto più alto della seconda, in quanto è un modo di produzione nel quale le tendenze allo sviluppo sono quelle che portano alla creazione dell’individuo alienato. Quindi è nel capitalismo che la dinamica dell’alienazione appare più sviluppata e si mostra in forma più evidente. Infatti lo schema di sviluppo dell’alienazione e le sue categorie fondamentali sono facilmente deducibili da una analisi critica del rapporto di produzione capitalistico. Ma il meccanismo dell’alienazione quale appare nel capitalismo, cioè il feticismo delle categorie economiche, è un processo, cioè una tendenza, che si è sviluppato storicamente e che contiene in sé come forme ad esso subordinate tutte le forme di alienazione che lo hanno storicamente preceduto, quindi può essere utilizzato per spiegare quelle forme ancora incomplete. Cioè le forme più sviluppate spiegano quelle meno sviluppate. Questo è il metodo delle scienze storiche, in cui hegelianamente è l’intero processo di sviluppo di un concetto quello che ha valore esplicativo. Quindi occorre analizzare e integrare in un unico modello diverse forme sociali e mostrare come siano parte di un unico processo dal quale emergono nel loro sviluppo le categorie che spiegano le diverse situazioni storiche. Ma, quanto al metodo, nell’esposizione della questione, è importante evidenziare che il discorso esplicativo è stato tratto da un caso specifico, il capitalismo, che per quanto significativo, non si può affermare che sia di per sé la soluzione del problema dell’origine dell’alienazione. Occorre compiere ancora due passi: prima bisogna considerare le forme ancora immature delle categorie in cui si esprime l’alienazione identificando le forme sociali anteriori al capitalismo nelle quali iniziarono a svilupparsi, delineando in tal modo il processo di sviluppo dell’alienazione. Poi è necessario applicare la teoria così dedotta a casi specifici diversi dai precedenti, che dopo il precedente passaggio dal concreto all’astratto è un ritorno al concreto, per controllare che la teoria è verificata in altri casi oltre quello sulla base dei quali è stata costruita. Cioè occorre dopo il primo passaggio compierne un altro in senso opposto, cioè dall’astratto al concreto. Questo principio metodologico è proprio del metodo scientifico, dove il secondo passaggio corrisponde al principio sperimentale, che nella scienza storica, essendo impossibili gli esperimenti sotto condizioni controllate, deve essere limitato alla semplice osservazione. E’ quanto ci proponiamo di fare: inizieremo con l’alienazione religiosa, cui seguirà l’analisi dell’alienazione come feticismo. Ad esse vengono applicate le categorie dell’alienazione dedotte dal capitalismo. Poi verificheremo la teoria in un caso particolarmente importante, il nazionalismo.

Naturalmente non si può affrontare questo argomento senza riferirsi ai risultati già raggiunti da Marx che ha svolto un’analisi approfondita su ciascuno di questi tipi di alienazione. Ma il suo lavoro si ferma ai preliminari e le sue analisi rimangono frammentarie e non giungono ad una definizione generale di alienazione. Tuttavia questo lavoro costituisce un punto di partenza imprescindibile, innanzi tutto come linguaggio, che sostanzialmente è una terminologia hegeliana, ma che acquista un nuovo significato in relazione al noto rovesciamento materialistico della dialettica attuato da Marx. Sulla base di tali precedenti si può affermare che il significato del termine alienazione è quello di espropriazione materiale. Quindi se si vuole dare una definizione unitaria a tale concetto ogni forma di alienazione deve potersi ricondurre a tale significato. In particolare l’alienazione viene descritta come scambio tra soggetto e oggetto; e tale aspetto è connesso con l’idea di personificazione dell’oggetto e quella ad essa complementare di reificazione del soggetto. Infine vi è ancora l’alienazione come feticismo. Tutti questi vanno considerati come diversi aspetti dell’alienazione e nella definizione generale vanno tutti ricollegati al concetto di alienazione come espropriazione. Il significato di questi aspetti dell’alienazione emergerà nell’applicazione della definizione già data a casi specifici di contesti alienati.

L’alienazione religiosa

L’ideologia religiosa è la più antica delle alienazioni e il modello di tutte le successive. Si connette direttamente con l’alienazione naturale di cui costituisce l’ideologia nella forma dell’animismo, che costituisce la prima forma della religione. In generale l’ideologia religiosa è fondata sulla subordinazione ad una entità suprema, circondata spesso ma non sempre da una corte di divinità minori. Questo essere supremo è il creatore di ogni cosa, quindi il proprietario dell’intero universo, proprietà di cui usa ed abusa. Infatti è il supremo regolatore dell’universo, per cui stabilisce i compiti di ciascuno e la sua posizione nelle gerarchie sociali che così vengono sacralizzate e rese immutabili. Ciascuno è quindi tenuto ad obbedire alla volontà degli dei che è sempre in sintonia con quella della classe dominante. Pertanto le figure divine sono null’altro che la proiezione nella trascendenza delle aspirazioni della classe dominante e solo di riflesso di quelle delle classi subordinate. Non si tratta perciò delle aspirazioni dell’uomo astratto, come viene affermato da Feuerbach. Quindi per le classi subordinate il mondo, poiché appare regolato da una volontà estranea e dispotica, si presenta dominato da forze maligne e pertanto come un ambiente ostile che le opprime. Quindi il mondo delle immagini religiose, che costituisce l’oggetto, domina il soggetto cioè la società che lo ha prodotto, quindi è il vero soggetto, mentre il soggetto, cioè la società che ha perso il controllo delle sue creazioni, diviene il vero oggetto. Nonostante ciò la classe dominante trova nell’alienazione la sua realizzazione e trae vantaggio dall’ideologia religiosa che usa come strumento di dominio. L’ideologia religiosa è già presente nelle comunità primitive nella forma dell’animismo, che è soprattutto una visione del mondo e consiste nell’attribuire alle cose volontà e coscienza. Ma non è la causa dell’alienazione, piuttosto ne è il prodotto. Infatti non essendoci ancora in questa fase le classi, la religione è un prodotto collettivo. Nemmeno costituisce una ideologia, cioè una falsa coscienza, in quanto è una fedele rappresentazione della visione del mondo che è condivisa da tutta la società, cioè di una visione del mondo che non ha finalità di dominio e che ha una sua validità pratica limitata, come tutte le rappresentazioni della realtà. Si tratta infatti del primo tentativo di costruire una immagine del mondo che permetta di migliorare le possibilità di sopravvivenza, tentativo cui partecipano tutti i membri della comunità su di un piede di parità a vantaggio dell’intera società. Ma tale condizione di esistenza della società è instabile. Quando tale attività eminentemente pratica giunge ad un certo grado di complessità, nascono gli specialisti del sacro, che ben presto formano una casta a parte che monopolizza tale funzione, cioè la gestione delle astrazioni, costituendo così un gruppo di potere.

Il feticismo delle merci

Un’altra situazione anomala dove l’alienazione sociale è poco sviluppata è quella della società mercantile semplice, anch’essa caratterizzata dall’assenza di classi, quindi di una classe dominante e di un pensiero ideologico dominante da essa elaborato. Ma occorre chiarire subito che tale economia più che un modo di produzione è il denominatore comune a tutte le società mercantili, cioè quello dove vige una economia di scambio, come accade sia per il capitalismo che per la società antica, ma non per l’economia curtense medievale. Ma in realtà non si tratta di una vera società in quanto è formata da produttori indipendenti che entrano in relazione fra di loro solo attraverso le loro merci che essi immettono nel mercato, dove però sono in concorrenza fra di loro. Quindi, un tale gruppo di individui atomizzato non può formare una classe e tanto meno una società. Infatti tale situazione sociale era stata ipotizzata dall’economia politica classica per dimostrare i suoi teoremi sulle leggi dell’economia capitalistica immaginando che la nascita di una economia di scambio sia avvenuta in tempi preistorici in una umanità costituita da individui isolati. Ma la realtà storica è diversa. Il capitale sviluppato, quello industriale, è stato preceduto da forme di capitale più rozze, quale è il capitale commerciale, sebbene la legge del valore neghi che dallo scambio di merci possa nascere plusvalore e quindi neghi che vi possa essere accumulazione. Quindi il capitale commerciale deve provenire dall’esterno violando la legge del valore, o operando su mercati separati, per cui nasce col commercio a lunga distanza, oppure alterando fraudolentemente il mercato mediante pratiche scorrette, come l’accaparramento di merci. In tali condizioni gli scambisti più deboli vedono ridursi il valore delle loro merci e si vedono derubati dal capitale commerciale. Questo poi produrrà una ideologia volta a giustificare questo arricchimento improduttivo, che ovviamente sarà un elogio del libero scambio e dei servizi che in questo modo il commercio procura alla nazione. Lo scambista singolo e isolato, che vende la piccola quantità di merce prodotta per il suo consumo, si trova in una situazione di completa precarietà, in balia di un mercato il cui andamento è imprevedibile o manipolato dal grande capitale, e ne attribuisce la colpa alle merci stesse, vedendo nella loro qualità fisica l’origine del loro valore e della loro valorizzazione. Il suo mondo è un mondo di merci, che il singolo scambista percepisce come una minaccia, per cui l’oggetto è per lui l’intera massa delle merci, cioè il mercato, mentre il soggetto è l’insieme degli scambisti. Ma il mercato è di per sé instabile, fonte non di una sopravvivenza sicura ma di incertezza; inoltre l’intervento del capitale commerciale trasforma il mercato in strumento di sfruttamento dei piccoli produttori, che assume le sembianze degli sfruttatori personalizzandosi e apparendo ideologicamente il vero soggetto, mentre l’insieme degli scambisti, che non controlla più il suo prodotto diviene il vero oggetto, quindi si reifica.

Quindi le forme di alienazione che precedono storicamente quella capitalista, cioè quella del capitale sviluppato, possono essere ricondotte ad essa. Cioè vi si ritrovano le categorie essenziali, sebbene meno sviluppate, o mescolate fra di loro, oppure collegate ad una base materiale inadeguata. Ad esempio, nel feticismo l’alienazione del produttore indipendente è senza dubbio minore di quella del proletario; nel feticismo il dominio dell’oggetto sul soggetto deriva dalla incapacità di quest’ultimo di organizzare socialmente la produzione, e solo secondariamente dall’intervento del capitale; nell’alienazione religiosa l’oggetto è costituito da proiezioni psichiche. Ma queste affermazioni sono possibili solo facendo il confronto con il capitalismo. Quindi la forma di alienazione più sviluppata è quella che può spiegare le forme che storicamente la precedono.

Lo schema fondamentale sotteso a tutte le forme fin ad ora esaminate è l’esistenza di una scissione nella società per cui una parte della società domina e priva dei frutti del suo lavoro l’altra, frattura che può essere descritta come inversione reciproca fra soggetto e oggetto, per cui ciascuno si trasforma nell’altro. Questo scambio di ruoli viene al tempo stesso esaltato e occultato dalla classe dominante attraverso la diffusione di un discorso apologetico dell’esistente, cioè un sistema di pensiero ideologico. Tale quadro costituisce sostanzialmente modello esplicativo delle dinamiche sociali. Esso viene tratto dall’esame di quei casi che si ritengono particolarmente significativi perché storicamente più sviluppati, deducendo da essi i concetti che descrivono unitariamente un processo storico. Lo stesso modello viene rintracciato nelle forme storiche immature. Ma questa non è ancora la teoria. Fino a questo punto il discorso è ancora ipotetico. Per essere una teoria deve poter essere applicato a casi diversi da quelli da cui prende origine. Se l’operazione ha successo il modello acquisisce attendibilità, tanto maggiore quanto più la sua applicabilità si estende. E’ quanto verrà compiuto qui di seguito limitatamente a un solo caso, a titolo di esempio. Verrà preso in considerazione un solo caso ma particolarmente importante per la storia recente e anche per quella contemporanea, il nazionalismo.

L’alienazione nazionalista

Ad un primo sguardo il nazionalismo sembra avere molto in comune con la religione ed infatti esso stesso dichiara essere “religione della patria”. Infatti al centro del nazionalismo troviamo l’idea di patria, equivalente a quello di nazione. Entrambe sono indissolubilmente legate ad un certo insieme di caratteri oggettivi comuni a tutta una popolazione ed al territorio in cui risiede, che sono elementi di carattere storico e geografico. Pertanto ciò è come dire che il nazionalismo prescinde dagli aspetti economici, giuridici e politici della società in quanto questi non sono in genere specifici di un popolo, ma possono appartenere a stati diversi mentre i primi appartengono in modo quasi esclusivo ad una certa popolazione e quindi possono conferire una identità. Quindi i primi sono caratteri nazionali, i secondi sovranazionali. I caratteri nazionali sono un potente mezzo di identificazione per gli individui su scala spaziale e temporale molto grande, superiore a quella originaria che non andava oltre il livello tribale e sembrava inadeguato a costituire la base di una nazione moderna. Invece i caratteri politici ed economici definiscono la società come stato, cioè come comunità la cui adesione da parte degli individui è basata essenzialmente su di un atto di volontà, quindi su di un fatto giuridico. Atto che porta all’acquisizione della cittadinanza e che è reversibile, mentre la nazionalità si acquisisce con la nascita ed è un fatto indipendente dalla volontà. Per questo i caratteri nazionali sono oggettivi, perché fissati nel tempo e nello spazio, mentre quelli che danno origine alla cittadinanza sono soggettivi in quanto sono liberamente creati o modificati, accettati o rifiutati. L’insieme dei caratteri oggettivi costituisce quindi quell’oggetto sociale denominato nazione. Essa, nonostante le apparenze, non è il prodotto storico di una popolazione, che costituisce il soggetto, in quanto è fondata su elementi oggettivi, astorici quali la stirpe e il territorio. La nazione è una comunità che è certamente articolata e ricca di contenuti, ma si presenta statica e rivolta al passato. Inoltre essa si presenta come comunità totalizzante e quindi superiore ad ogni altra, sia all’interno che all’esterno, quindi superiore alle classi sociali e ad ogni comunità diversa da essa. Per queste sue caratteristiche e per il forte potere di aggregazione l’idea di nazione viene trasformata dalla classe dominante in ideologia nazionalistica che viene da essa utilizzata per costruire il mito della patria. Quello che è un insieme di elementi oggettivi viene storicizzato, presentandolo come un processo che ha portato alla formazione della patria. La classe dominante si identifica con tale concetto e lo usa sia per mantenere la coesione sociale, sia per combattere qualunque gruppo sociale che possa indebolire il suo potere. Per cui le classi subordinate si vedono contrapporre alle loro aspirazioni di emancipazione sociale il mito dell’unità nazionale. Questo viene presentato come alternativa alla lotta di classe sia ponendo la realizzazione della grandezza della nazione come obbiettivo alternativo alle loro rivendicazioni, quindi tentando di coinvolgere le classi dominate in una politica espansionista. Oppure ne fanno oggetto di esecrazione sociale accusandole di minare l’unità della nazione attentando alla pace sociale. Di fatto ciò significa invocare l’unità della nazione contro un nemico, interno o esterno, riuscendo in questo modo a sopire tutti i contrasti sociali e a mantenere immutati a loro vantaggio i rapporti di potere. Così si realizza una situazione in cui le classi subordinate percepiscono il concetto di nazione e l’ ideologia nazionalistica come potenze ostili che li mantengono in una condizione di servitù. In tal modo un mito che originariamente, nella società gentilizia, simboleggiava la comunità ed era stato prodotto dalla comunità stessa, nelle mani della classe dominante diventa strumento di oppressione fuori del controllo dei suoi creatori. Quindi da oggetto diviene soggetto, mentre i suoi creatori asserviti a tale mitologia da soggetto divengono oggetto. Alla fine di questo processo il mito della patria da vita ad una figura trascendente che ingloba tutti gli attributi della patria, cioè si personalizza. Mentre il soggetto originario perde la sua autonomia reagendo meccanicamente ad ogni riferimento alla patria, essendo ormai divenuto un oggetto rispetto a tale idea personalizzata.

Torino, agosto 2014

Valerio Bertello